martedì 27 settembre 2011

John Wilkins - Essay towards a Real Character and a Philosophical Language (1668)


L'edizione del 1802 delle opere di Wilkins
«Non c'è classificazione dell'universo che non sia imperfetta e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa sia l'universo». Così scriveva Borges nel suo L'idioma analitico di John Wilkins (in Altre Inquisizioni), e con questo principio generale e placidamente arrendevole allo stesso tempo, al di là di tutte le altre spiegazioni che pure furono date, da lui e non solo, confutava la lingua filosofica di Wilkins, ed il suo Essay towards a Real Character and a Philosophical Language. Wilkins aveva tentato di fornire una classificazione dell'universo, e ne era venuta fuori un universo suddiviso in quaranta categorie divisibile poi in differenze a loro volta suddivisibili in specie. Ma lo scopo di Wilkins non era la pura e semplice classificazione dell'universo (materiale e immateriale, reale e metaforico): Wilkins voleva trasformare questa classificazione in segni, in un alfabeto e - di conseguenza – in una lingua in cui doveva venir meno la caratteristica principale delle lingue naturali, l'arbitrarietà del segno, quel comportamento cioè che consente alle lingue di prendere suoni privi di significato, articolarli e assegnare ad essi arbitrariamente un significato. Questo non nella lingua di Wilkins. Seguiamo ancora Borges: «Le parole dell'idioma analitico di John Wilkins non sono goffi simboli arbitrari; ciascuna delle lettere che le compongono è significativa, come lo furono quelle della Sacra Scrittura per i cabalisti». Nella lingua di Wilkins, dunque, ad ogni segno corrisponde un significato, ma questo significato non gli è stato attribuito in maniera arbitraria, bensì è il segno stesso che porta le caratteristiche dell'oggetto rappresentato. Umberto Eco, nel suo La ricerca della lingua perfetta dice: «Wilkins si propone di costruire una lingua fondata su caratteri reali 'leggibile da ogni popolo nella sua propria lingua'».