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L'edizione del 1802 delle opere di Wilkins |
«Non c'è classificazione
dell'universo che non sia imperfetta e congetturale. La ragione è
molto semplice: non sappiamo che cosa sia l'universo». Così
scriveva Borges nel suo L'idioma analitico di John Wilkins
(in Altre Inquisizioni),
e con questo principio generale e placidamente arrendevole allo
stesso tempo, al di là di tutte le altre spiegazioni che pure furono
date, da lui e non solo, confutava la lingua filosofica di Wilkins,
ed il suo Essay towards a Real Character and a
Philosophical Language. Wilkins
aveva tentato di fornire una classificazione dell'universo, e ne era
venuta fuori un universo suddiviso in quaranta categorie divisibile
poi in differenze a loro volta suddivisibili in specie. Ma lo scopo
di Wilkins non era la pura e semplice classificazione dell'universo
(materiale e immateriale, reale e metaforico): Wilkins voleva
trasformare questa classificazione in segni, in un alfabeto e - di
conseguenza – in una lingua in cui doveva venir meno la
caratteristica principale delle lingue naturali, l'arbitrarietà del
segno, quel comportamento cioè che consente alle lingue di prendere
suoni privi di significato, articolarli e assegnare ad essi
arbitrariamente un significato. Questo non nella lingua di Wilkins.
Seguiamo ancora Borges: «Le parole dell'idioma analitico di John
Wilkins non sono goffi simboli arbitrari; ciascuna delle lettere che
le compongono è significativa, come lo furono quelle della Sacra
Scrittura per i cabalisti». Nella lingua di Wilkins, dunque, ad ogni
segno corrisponde un significato, ma questo significato non gli è
stato attribuito in maniera arbitraria, bensì è il segno stesso che
porta le caratteristiche dell'oggetto rappresentato. Umberto Eco, nel
suo La ricerca della lingua perfetta
dice: «Wilkins si propone di costruire una lingua fondata su
caratteri reali 'leggibile da ogni popolo nella sua propria lingua'».