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Il frontespizio della nona edizione (1852) |
Pubblicato in prima edizione nel 1837, e arrivato alla nona edizione nel 1852, il libro divenne immediatamente un classico della letteratura gastronomica ottocentesca.
Il libro non è solamente un libro di ricette, ma si occupa della scienza della cucina tutta, a cominciare dalla descrizione di come dovrebbe essere fornita una cucina ("molto ampia, col posto delle sue fornelle nel suo centro...situata nel pian terreno...), e proseguendo poi con la lista dettagliata di tutti gli utensili che si dovrebbero avere a disposizione (marmitte, casseruole, casseruole "matte", "pesciere", tortiere, padelle, stampi, "mescole di rame per schiumare", cioccolattiere", graticole, forchettoni...), fino ad arrivare alle norme per servire in tavola, per apparecchiare in maniera costumata, senza dimenticare alcune operazioni che oggi difficilmente si compiono in cucina, come il corretto modo di ammazzare un volatile ("Qualunque animale pennuto, che si vuol disossare, deesi primieramente saper ammazzare; dovendo farsi la ferita precisamente alla gola, e che non sia molto grande, onde non si laceri; avvertendo a tagliare perfettamente la trachea, perché così sortirà tutto il sangue, e la carne rimarrà bianca").
Il prontuario prosegue poi con la descrizione "di tutte le paste", dalla pasta frolla a quella per gli struffoli, dalla pasta di mandorle alla pasta per cannelloni; e dopo le paste si passa ai diversi modi per preparare il brodo, alle creme (la descrizione della preparazione della crema all'anice ha un che di poetico, nella sua rapida enunciazione: "Prendi once quattro di bombò col senso di anisi, li pesterai, li farai liquefare collo zucchero, e così avrai la crema di anisi").
Le ricette vere e proprie sono in maniera calendariale, fornendo un menù completo per ogni giorno della settimana. I piatti sono descritti prima in maniera sintetica e poi successivamente spiegati nel dettaglio. La cosa più interessante, a livello documentario, sono le "minute del dettaglio della spesa" poste alla fine di ogni capitolo, con i prezzi di tutti gli ingredienti citati nelle ricette.
Alla fine del terzo libro, ecco il cambio di lingua, e si passa dalla "lengua Truscana" alla "bella lengua nostra Napolitana". E l'autore spiega le sue ragioni: "Amici mieje, la capo ma fatto seccia, po compenà chisto quarto libro, e cheste benedette semmane cchiù me la fanno perdere, ma pe contentà a tante amice, e de chille associate, che m'hanno commannato, che nge mettesse no poco de Dialetto Napoletano, eccome cca, che nge lo metto comme meglio pozzo, avite pacienzam e compatiteme". E sembra divertirsi di questo cambio linguistico il Cavalcanti, quando, nella ricetta dei vermicelli si scusa col lettore patenopeo d'aver inserito un parola "troscana" all'interno del suo discorso: "Scaura tre rotola de vermicielli, li sgoccioli, aù aggio sbagliato, sculi, e li buoti dinto a no tino co tre musurella d'uoglio buono...".
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